P.T.T.: la costituzione telematica è valida anche se il ricorso è stato introdotto in modo “cartaceo”

Giurisprudenza Processo Tributario Telematico

COMM. TRIB. REG. PER L’EMILIA-ROMAGNA, SENTENZA DEL 16/07/2018, N. 1908/12.

La costituzione in giudizio in via telematica, ex D.M. 23 dicembre 2013 n. 163, è sempre possibile anche quando il ricorrente abbia introdotto il giudizio con la modalità ordinaria tradizionale. Alla luce della facoltatività che ancora oggi connota l’utilizzo del PTT, il legislatore ha espresso il proprio favore per l’utilizzo delle nuove tecnologie di trasmissione degli atti processuali e tale favore non può essere unilateralmente vanificato dalla scelta operata dal ricorrente di utilizzare ancora l’atto analogico tradizionale vincolando la controparte.


TESTO

Con ricorso ritualmente depositato il 10/02/2017, l’Agenzia delle Entrate proponeva gravame avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria di Reggio Emilia n 245 del 12 ottobre 2017 con la quale veniva accolta l’impugnazione proposta dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento XXXX del 2016.

In particolare, deduceva l’Agenzia la nullità del procedimento per violazione del principio del contraddittorio per avere la sentenza di primo grado dichiarato illegittimamente la mancata costituzione in giudizio dell’Ufficio in violazione dell’art. 10 del decreto Min. Economia e Finanza n. 163 e delle ulteriori disposizioni in materia del processo telematico.

In particolare, lamentava l’Agenzia, che alla pubblica udienza la Commissione avesse esplicitamente dichiarato di non aver potuto prendere visione ” dell’asserita costituzione delle relative controdeduzioni e dei documenti allegati” non essendogli stata assegnata dagli organi competenti la strumentazione hardware e software per poter accedere al sistema SIGIT”; nella decisione, riteneva nulla la costituzione dell’Agenzia in quanto intervenuta a mezzo del sistema SIGIT in ragione della opzione operata dalla parte ricorrente con il proprio atto introduttivo, per un processo fondato sul regime analogico delle difese, degli atti e documenti delle parti.

Nel merito, deduceva l’illegittimità della sentenza resa per difetto di motivazione ovvero per motivazione apparente in quanto riproposizione acritica delle difese rassegnate dalla parte, dovendo invece darsi contezza della analitica motivazione contenuta nell’avviso di accertamento sia con riferimento analitico alle sopravvenienze attive non contabilizzate, sia con riferimento alla rettifica ai fini II.DD. e dell’IVA, delle lavorazioni di terzi non documentate, sia con riferimento alla illegittimità di ogni detrazione IVA sulla fornitura “XXXXXXXXXX”, i cui pagamenti risultavano operati da altro fornitore XXXXXXX XXXXX.

Radicatosi il contraddittorio con la costituzione della società contribuente,la difesa assumeva la piena coerenza della sentenza impugnata con riferimento alla motivazione in rito assunta, non essendo dato alla parte convenuta con ricorso depositato nelle forme analogiche ordinarie,costituirsi telematicamente con il deposito delle proprie difese.

Nel merito contestava ogni motivo di impugnazione essendo pienamente argomentata la valutazione espressa dalla commissione in ordine all’avviso di accertamento operato.

In esito alla pubblica udienza dell’11 giugno 2018, rassegnate le conclusioni dalle parti costituite, la causa veniva trattenuta in decisione.

Motivi

1) Le motivazioni assunte nella sentenza resa in primo grado quanto a costituzione telematica dell’Agenzia non rivestono pregio e come tali vanno disattese nella loro interezza.

Ed invero, la Commissione di primo grado ha ritenuto che solo nell’ipotesi di notificazione del ricorso introduttivo a mezzo PEC, la costituzione in giudizio dell’Agenzia, convenuta in impugnazione, possa avvenire in maniera telematica, cioè mediante il sistema Sigit (di cui alla definizione dell’art 3 del d.m. 23 dicembre 2013 n. 163); nell’ipotesi opposta, ovverosia laddove il ricorrente abbia provveduto all’impugnazione dell’avviso secondo le modalità ordinarie quali ad esempio il deposito del ricorso presso la controparte o l’invio, alla stessa,tramite posta ordinaria del proprio ricorso, la costituzione in giudizio debba necessariamente avvenire nelle forme ordinarie senza alcuna possibilità di utilizzazione del sistema SIGIT, mediante il consueto deposito di copia del ricorso presso la segreteria della Commissione o tramite l’invio per posta ordinaria.

A fondamento dell’interpretazione proposta, assume la Commissione che il terzo comma dell’art. 10, nel disciplinare la costituzione in giudizio e il deposito degli atti e documenti della parte resistente e rinviando alle modalità indicate dal primo comma dell’art. 10, implicitamente ma necessariamente facoltizza la costituzione telematica in giudizio nella sola ipotesi in cui l’iter costitutivo prescelto dal ricorrente abbia riprodotto nella sua interezza la disposizione normativa del primo comma, ivi compresa la notificazione a mezzo Pec.

L’interpretazione resa dalla Commissione è errata e merita integrale riforma.

In primo luogo, appare invero singolare che si assegni alla previsione normativa in esame il valore precettivo derivante dall’integrale riproduzione di istituti processuali da sempre considerati in modo distinto dalla teoria processuale e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.

Gli stessi articoli 22 e 23 del D.lgs 31 dicembre 1992 n. 546 rendono evidente come la costituzione delle parti trovi componimento processuale nella formazione del fascicolo e nel suo deposito nella segreteria della commissione, articolandosi per diversità del contenuto fascicolare per il ricorrente che è onerato del deposito della copia del ricorso se la notificazione è avvenuta a mezzo posta o mediante consegna, ovvero dell’originale se la notificazione è avvenuta secondo le regole del codice di procedura civile.

Il DM 23 dicembre 2013 n. 163 assicura continuità degli istituti in esame nella loro esplicazione telematica, senza alterarne la struttura interna: ed invero, appare improprio e frutto di letteralismo interpretativo ogni richiamo necessitato alla notificazione a mezzo PEC per la costituzione della parte resistente a mezzo deposito telematico a norma dell’art. 10, ultimo comma, in quanto: i) l’attività oggetto della previsione è la sola costituzione in giudizio della parte resistente, cosicché il richiamo deve essere correttamente delimitato a tale oggetto, come definito dall’art 23 D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; per pacifica giurisprudenza, la notificazione non costituisce un modo di essere dell’atto difensivo (ricorso introduttivo, atto di citazione nel processo civile) ma solo un requisito di efficacia esterno dell’atto: quand’anche considerato nella sua interezza come fattispecie complessa, la costituzione in giudizio si articola per momenti ontologicamente diversi quali l’atto difensivo e la sua estrinsecazione rappresentativa alla controparte (notificazione), l’uno e l’altro assoggettati a regimi di efficacia e validità propri ed esclusivi.

Del resto: 1) gli artt. 12 e 13 del D.M. n. 163 assicurano continuità operativa alla formazione del fascicolo informatico della Commissione mediante la copia informatica degli atti e documenti depositati in formato cartaceo, operativamente rafforzate dall’art. 11, commi 1 e 3 del decreto attuativo del 4.08.2015, formazione che viene perseguita dalle Commissioni a prescindere dalla scelta operata dalle parti; l’art 2, comma 3 del D.M n. 163 impone alla parte (sia essa ricorrente che resistente) che abbia fatto utilizzo in primo grado delle modalità telematiche, di assicurare continuità informatica alla propria attività difensionale, a prescindere pertanto se abbia dato corso al giudizio o vi sia stata convenuta.

Deve pertanto concludersi che, diversamente da quanto ritenuto da altre Commissioni di primo e secondo grado, la facoltatività che connota ancora oggi l’utilizzo delle tecnologie del processo telematico tributario per entrambe le parti del processo, non può essere unilateralmente vanificata dalla scelta operata dal ricorrente in favore dell’atto analogico tradizionale ma connota un regime proprio di ciascuna delle parti processuali, non potendo l’opzione di una parte vincolare l’altra in ragione del favore espresso dal legislatore per l’utilizzo delle nuove tecnologie di trasmissione degli atti processuali.

2. Eccezione di nullità della sentenza resa in primo grado.

L’art. 59 D.Lgs. 546/92 dispone che la Commissione Tributaria Regionale rimette la causa alla Commissione Provinciale che ha emesso la sentenza nel caso in cui (lett. b) riconosca che, nel giudizio di primo grado, il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato. La previsione attua quanto previsto dall’art. 24 della Costituzione (“la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) e dell’art. 111 della Costituzione(“ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti…”) a garanzia che nessuno possa subire gli effetti di una sentenza senza avere avuto parte al processo da cui la stessa scaturisce. ( cfr. ex multis, CTR Lombardia sentenza n. 184 del 17/03/2003 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Sezione )XXVII). Nel caso in esame, la stessa Commissione Provinciale ha ritenuto erroneamente che “nel presente giudizio, non risulta che l’Agenzia resistente si sia costituita né abbia prodotto controdeduzioni e documenti”, dando così ingresso ad una pronuncia sulla costituzione pur intervenuta della parte resistente, per quanto ritenuta nulla: si tratta di un tipico error in iudicando, come tale oggetto della pronuncia sostitutiva del giudice del gravame.

3) Nel merito la decisione resa dal primo giudice merita integrale conferma.

In particolare, quanto alle sopravvenienze attive che si contestano come non contabilizzate, le risultanze istruttorie confermano quanto dedotto dalla parte, ovverosia che si tratta di partite correttamente ancora aperte in quanto derivanti dalla voce “fatture da ricevere esercizi precedenti” del bilancio avente residui ancora aperti alla data della verifica. Ed invero, al fine di considerare le posizioni aperte come insussistenti, non basta la constatazione della loro mancata chiusura, essendo viceversa necessaria la prova piena o quantomeno presuntiva a norma dell’art. 2729 c.c., che consenta di ritenere insussistente lo stesso rapporto sostanziale di cui la partita aperta è risultanza contabile.

In altri termini, la risalenza temporale del debiti contratti in anni precedenti non radica ex sé una “posizione debitoria insussistente” che, come tale, concorre alla formazione del reddito ai sensi dell’art. 88 del TUIR in quanto derivante da “… sopravvenuta insussistenza di spese, perdite ed oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi”, essendo viceversa necessario acquisire altri e coerenti indici che consentano di ritenere la partita effettivamente chiusa ed insussistente.

Al riguardo, si ricorda come per insegnamento costante della Suprema Corte di Cassazione “…la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva [..] si realizza [..] in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza”.

Questo rilievo riguarda la contabilizzazione nel canto “lavorazioni di terzi” di un importo di XXXXXXX per lavori effettuati dalla azienda agricola” Il XXXXXXX”, società che ha come soci solo alcuni del soci della XXXXXXXXX.

Orbene, risponde ad assoluta ragionevolezza, non solo la sottoscrizione di un contratto regolativo delle attività commissionate ma soprattutto la loro fatturazione secondo il tariffario in vigore per gli operai avventizi del settore: né a fronte della regolazione negoziale operata e della indiscussa realizzazione delle attività demandate, può costituire motivo di sospetto la circostanza che le società registrino una compagine societaria tra loro simile anche se non coincidente, e comunque correlata per storici legami familiari, in quanto in assenza di ogni ulteriore e necessario elemento probatorio, la devoluzione in un contratto d’appalto di tali attività e la loro quantificazione a mezzo prezzi di mercato quali i tariffari in uso costituisce una buona e corretta prassi di gestione di tali operazioni, altrimenti occultate in rapporti oscuri tra le stesse società.

Con riferimento all’ultimo dei motivi di accertamento, ovverosia illegittima detrazione di IVA, va in primo luogo osservato come risulti pacifico in atti che la società contribuente abbia acquistato merce (mosto, nel caso di specie) compensando quanto dovuto al fornitore con un credito antecedente verso un altro fornitore terzo, credito comprensivo di IVA già dallo stesso detratta in precedenza.

In particolare, risulta pacifico in atti che …..OMISSIS….

Ciò posto, appare evidente come la società XXXXXXX vantava verso la XXXX XXX XXXX un credito di C. 54.389,81, oltre agli interessi di mora contestati dal legale pari ad C. 2.326,47, per un totale di C. 56.716,28, credito riconosciuto pacificamente tra le parti.

Orbene, l’intervenuta risoluzione del rapporto non incide sul regime relativo all’IVA corrisposta, in quanto l’Agenzia ha già provveduto ad incassare dal cedente della merce di cui alla fattura 68, l’intero valore dell’imposta.

Del pari, risulta per tabulas dimostrato che nell’anno successivo, ovverosia nell’esercizio 2013, XXXXXX XXX ha acquistato mosto da un altro fornitore, “XXXXX XX XXXXX”, per un valore di C 63.102,00 oltre ad IVA di C 13.882,44 di cui alla fattura n. 5/2013 (V. doc. 41 del ricorso).

Per accordi intercorsi tra le parti, XXXXXX ha estinto il proprio debito verso XXXXX XX XXXXX di cui alla fattura 5/2013 mediante cessione del proprio credito vantato verso la XXXXX XXX XXXXX di C 56.716,28 (V. doc. 42 del ricorso).

Realizzando l’operazione un datio in solutum accettata dal creditore a norma e per gli effetti dell’art. 1189 c.c., tali modalità di pagamento non hanno alcun riflesso fiscale ai fini Iva. Ed invero:

a) la XXXXXX XXXX S.r.l. ha correttamente detratto IVA di cui alla fattura emessa dalla XXXXX XXX XXXXX, per la fornitura di cui alla prima delle operazioni di acquisto mosto;

b) la XXXXX XXX XXXXX ha versato il credito IVA riscosso in sede di pagamento della fattura, ai sensi del richiamato combinato disposto di cui agli artt. 6 e 17, D.P.R. 633/72;

c) con riferimento alla fattura n. 5/2013 emessa dalla “XXXXX XX XXXXX”, l’IVA esposta in fattura risulta pagata nelle forme indicate, al venditore che pertanto sarà tenuto al versamento IVA.

Tanto basta a rendere ragione del rigetto dell’appello.

Si compensano tra le parti le spese del grado per la peculiarità delle problematiche tecniche connesse alla costituzione dell’Agenzia, problematiche che necessitano di una fase di sedimentazione interpretativa coerente con i principi normativi di cui al D. Lgs 546/92 come contestualizzati dal D.M. n. 163/2013.

PQM

La Commissione Tributaria Regionale, pronunciando sul ricorso in appello proposto dalla Agenzia delle Entrate avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n. 245 del 12/10/2017, così provvede:

a) Rigetta l’appello proposto in quanto infondato in fatto ed in diritto.

b) Spese per intero compensate tra le parti.

Bologna, 11/06/2018


FONTE DEL TESTO: MEF